“Devi essere forte”, “Il tempo ripara tutte le ferite”, “Non farti vedere piangere!”…

Quando si vive l’esperienza di una perdita, il mondo attorno ci riempie di espressioni di questo tipo che non consentono l’esprimere del dolore vissuto non permettendo di “stare nel processo di lutto”.
Il lutto è sia uno stato psico-fisiologico che un processo, vissuto da chi ha perso una persona cara.

Possono essere genitori anziani o ancora giovani, o figli: piccoli, adolescenti o adulti.

Il dolore per la perdita non si può quantificare, non vi è un modo giusto o sbagliato di reagire.

Ci si può sentire oppressi dall’angoscia della morte del proprio caro, preferire il non uscire di casa, non fare più le cose che un tempo facevano stare bene, o essere iperattivi, non lasciarsi tempo libero, perché se ci si dovesse fermare la tristezza sarebbe talmente forte che si preferirebbe non sentirla.

Suggeriva Gomez Sancho La mortalità dell’essere umano è del 100% e, cioè si ha una morte per ogni persona”. Espressione scontata ma non altrettanto ovvia per la nostra psiche che, quando si trova a fare i conti con l’esperienza del lutto, mette in gioco i più svariati meccanismi.
Seppur il dolore che accompagna il lutto è un’esperienza fisiologica, questo può aprire comunque le porte a vissuti che necessitano di un accompagnamento psicoterapeutico.

Spesso si vivono sentimenti di colpa per l’accaduto che possono portare a continue rimuginazioni: “se avessi visto qualche segnale”, “se l’avessi portato in quel centro specializzato”, “se non gli avessi comprato quel motorino”,….

Tanti “se” che rendono ancora più gravoso il carico emotivo da portare, e che non aiutano ad andare avanti senza per questo sentirsi in colpa.

L’intervento psicoterapeutico nell’elaborazione del lutto ha l’obiettivo di favorire il processo di accettazione della perdita. Questo non implica il “dimenticarsi” della persona cara, ma dargli uno spazio diverso nella propria vita, passando dalla presenza fisica al ricordo.

Fu Freud (1917) a rilevare come “il lutto induce l’Io a rinunciare all’oggetto, dichiarandolo morto e offrendo in premio all’Io di rimanere in vita” infatti “quando avrà rinunciato a ciò che ha perso, il nostro desiderio sarà libero di sostituire gli oggetti perduti con nuovi oggetti”. Se non si lascia andare ” l’oggetto interno” che la persona cara rappresenta, non si può dare spazio a nuove realtà, non si può dare spazio alla vita, la propria vita. Il setting terapeutico favorisce la possibilità di darsi il permesso di vivere il lutto, di avere uno spazio per esprimere il proprio dolore senza giudizio.

Gli stessi conflitti sono vissuti anche dai bambini, che non sempre hanno le risorse mentali ed affettive per affrontare una situazione così travolgente, e nello stesso tempo, gli adulti si possono trovare spiazzati su come approcciarsi.

La bugia più frequente che gli adulti si dicono per sfuggire a questo loro compito è: “E’ troppo piccolo per capire”. In realtà sono spesso gli adulti a essere troppo spaventati per parlare” (Quagliata, 2013).

Quali parole utilizzare? Come dirglielo? Chi deve dirglielo? Queste e tante altre domande si trovano ad affrontare i genitori, gli zii, i nonni che danno notizia della morte di una persona cara ai bambini.

Non ci sono regole ma un suggerimento sempre valido è evitare il silenzio ed i segreti.

Dietro ad essi, i bambini costruiscono e fantasticano situazioni spesso non aderenti alla realtà dei fatti, e se non si parla, se non si condivide il vissuto e le emozioni, si troveranno soli ad affrontare fantasie angoscianti, paure inquietanti e sensi di colpa difficili da elaborare.

Spesso vivono il senso di colpa per la morte del genitore, interpretando questa come se fosse causata da un proprio comportamento, “se mi fossi comportato bene, non mi avrebbe abbandonato, non le sarebbe successo nulla di male”. Questo è frutto del pensiero magico, tipico dell’infanzia, che è naturalmente conseguente alla percezione egocentrica di causalità dei bambini, che comprende il percepirsi come causa principale degli eventi che li circondano.

La perdita di una persona cara al bambino va inoltre a minare il suo senso di sicurezza fino a poter intaccare il rapporto con i genitori o con altre figure di attaccamento, per questo è opportuno che una figura stabile stia accanto a lui e accolga e contenga i suoi vissuti ambivalenti e contrastanti.

La morte è una realtà che fa paura, e bambini e adulti di fronte al lutto devono permettersi di manifestare ciò che sentono e non di nasconderlo o mascherarlo, ma piangere, condividere il dolore, i ricordi, le paure… permettendosi di portare insieme il peso della mancanza, che da soli è più difficile da elaborare.

autore: Dott.ssa Alessandra Pace
Psicologa, Psicoterapeuta