Premessa

Nel mio lavoro con gruppi di genitori mi sono ritrovato spesso con domande sul rapporto tra autonomia, espressività ed educazione. Ad esempio: “come faccio ad educarlo ed a promuovere la sua espressività?”, “come faccio a capire se lo limito?”, “è giusto dare le punizioni?”, “cosa significa che anche i no educano?”, che rapporto c’è la mia libertà e la sua?”

Questi stimoli, queste domande, mi hanno portato a fare delle riflessioni ed a verificarle nella mia esperienza professionale e personale. Sono queste riflessioni che voglio illustrare e condividere, non per esaurire la questione, ma per specificarla, tentando di promuovere, in qualche modo, un dialogo con il lettore.

Cos’è, quindi, la libertà e che rapporto ha con l’azione educativa? La libertà è un bene innato, una quantità che con l’educazione si riduce, per promuovere un buon adattamento, oppure è un bene che cresce con l’educazione, purificandosi come l’oro nel crogiolo?

Della libertà

Vorrei innanzitutto chiarire il concetto di libertà. Esso è uno dei temi fondamentali della nostra cultura e ciascuno di noi pensa di sapere cosa è, di cosa stiamo parlando, ma, in realtà, è difficile averne un concetto definito, che parta dalla nostra esperienza.

Peraltro la libertà sfugge a facili definizioni ed ancor meno è analizzabile in termini psicologici, in quanto essa stessa, ponendosi oltre ogni modello della mente, non è descrivibile come esito di una dinamica psicologica.

Nella nostra cultura la libertà è spesso associata al concetto di potenza, sintetizzato efficacemente in uno slogan di una marca di scarpe: “voglio, posso”.  Io sono libero in quanto posso realizzare il pensiero, il progetto che ho su di me. Definito, in questi termini, il concetto di libertà è costruito in modo potenzialmente conflittuale tra diversi “io” che possono confliggere e che devono trovare un buon compromesso, limitando la libera espressività, adattandosi. Questo schema, mi sembra sotteso a molte delle domande in precedenza accennate e rimane sullo sfondo del rapporto tra educatore e educando.

Questo concetto di libertà non corrisponde alla mia esperienza personale e professionale. Nel tempo mi è divenuto sempre più evidente l’io si realizza in un rapporto, come attesta la teoria dell’attaccamento, per cui la libertà non consiste nella potenza, ma nella capacità di vivere il rapporto che più mi soddisfa. È nel gioco del desiderio, più che nella programmazione che si costruisce l’autonomia, per cui sarebbe irragionevole pensare che la libertà possa consistere nell’assenza di legami, nella supremazia o nel loro controllo.

Nel mio periodo di formazione, in un workshop alla scuola di specializzazione, un didatta americano, H.D. Johns, affermò che il Bambino Libero, cioè l’espressione dello Stato della mente più spontaneo e naturale (vedi nota 1), si esprime con la frase: “Io vorrei…..”. Questa affermazione suscitò stupore e sconcerto tra i partecipanti, che insistevano nel dire che l’espressione del BL è “Io voglio….”. Andando oltre la costruzione grammaticale della frase (un bambino difficilmente usa il condizionale), nel tempo ho capito cosa volesse dire il didatta: il Bambino esprime liberamente il proprio sentimento e la propria idea, il proprio desiderio in un relazione di cui si sente sicuro, per cui non ha problemi a chiedere, si pone in relazione liberamente, può esprimere il suo desiderio all’altro, assumendosene la responsabilità. La sua libertà coincide con la sicurezza del rapporto che lo sostiene. Ciò è ben descritto negli esperimenti della AINSWORTH (vedi nota 2), sul comportamento esplorativo.

La libertà non è, quindi, alternativa alla relazione, ma si sviluppa in una relazione sicura che accompagna la scoperta di sé, dell’altro e della realtà. Questo concetto, che non è una novità per gli psicologi clinici, è stato ben descritto da Stanley I. Greenspan (vedi nota 3). Il bambino, già a due mesi, nota sempre di più i toni, le espressioni e le azioni di chi gli sta vicino e comincia a reagire con piacere e a costruire una relazione di intimità. Questo scambio inizia con l’attenzione entusiasta dell’adulto che il bambino ricambia appassionatamente. Insieme danno vita a sorrisi radiosi, uno sulla faccia dell’adulto e l’altro su quella del bambino. L’adulto manifesta intenzionalmente i suoi sentimenti mentre il bambino non e ancora del tutto intenzionale. La loro relazione è più di tipo sincronico che non di scambio e da questa immersione in una relazione esaltante, nasce un senso di comunione che in seguito si trasforma nella capacità di provare empatia e amore. Poiché al bambino si presentano occasioni diverse di vicinanza con gli altri, diventa possibile sperimentare livelli differenti di intimità. Se manca il corteggiamento estatico da parte di almeno un adulto, il bambino può non provare mai l’intensa ebbrezza della vicinanza agli altri, né vederli mai come esseri umani che provano le stesse cose che prova lui; può diventare chiuso in se stesso, insensibile, autocentrato e aggressivo, capace di fare del male senza scrupoli né rimorsi.

Questa libertà in relazione si evidenza, quindi, con due indicatori:

  • il prevalere della speranza sulla paura come atteggiamento di fondo nella rapporto con l’altro e la realtà;
  • la facilità alla domanda come espressione della fiducia sul piano affettivo e della categoria della possibilità su quello cognitivo.

Dell’educazione

Vorrei ora affrontare il concetto di educazione. Anche in questo caso è una parola usata da tutti con facilità, popolare. Ultimamente si è posta speso la “questione educativa” come tema di fondo per molti problemi. Dire però cosa è l’educazione non è, però, così immediato.

Spesso si pone l’accento sul comportamento, sulle regole, sull’adattamento. Qualcuno sposta l’accento sulla realizzazione, sulle competenze e sulla capacità o sull’educazione emotiva. Spesso mi sono ritrovato di fronte ad un implicito concetto di educazione in cui l’latro, l’educando era oggetto di educazione e non soggetto. Ciò comporta il concentrarsi sul fare educativo, più che sull’essere educatore; inoltre con quest’impostazione la libertà dell’educando, qualunque sia il contenuto dell’azione educativa, sarà in opposizione, un imprevisto, da tentare di controllare.

L’educazione coincide con la formazione della persona, il suo “costruirsi”, scoprendo un senso di Sé e del mondo, delle relazioni. L’autonomia coincide con la disponibilità a prendere in considerazione la totalità dei fattori, oltre il proprio schema, in relazione più che in misurazione. In quest’ottica lo strumento principale è l’esperienza, secondo la bella descrizione che ne fa Greenspan, come il mattoncino, fatto di emozione e pensiero, che è l’elemento base della costruzione degli strumenti cognitivi e della personalità; esperienza mediata dal “curatore”, l’educatore, che attraverso la propria esperienza accompagna l’altro a fare la propria, costruendo, reperendo quel senso di sé e del mondo di cui si accennava prima.

Dell’educatore o del rischio educativo

In questo gioco relazionale, che coinvolge tutto degli interlocutori, chi è l’educatore, quando un’azione è educativa?

Il primo punto che mi sembra fondamentale è che l’educatore ha un’intenzione, vuole educare perché ha qualcosa d’importante da comunicare all’altro, ha un’identità, c’è ed in quanto tale si pone all’altro, spesso ha a cuore che qualcosa sia a conoscenza dell’altro che in qualche modo gli sta a cuore. È questa intenzione positiva la fonte della sua azione, il che lo lascia in qualche modo libero dall’esito, nel senso che è emotivamente attento a questa passione da comunicare prima ancora che preoccupato da come comunicare. È spostato da sé, perché non è preoccupato per sé. L’esito, pur importante è un dato da verificare, non è il suo valore, il valore dell’altro non è ultimamente definito dall’esito.

L’altra condizione è la completezza, l’unità dell’educatore, c’è, come dicevamo, prima ancora dell’esito, ma nel desiderio soddisfatto da ciò che sta comunicando e dal piacere dell’incontro con l’altro. Ciò genera un’esperienza positiva che “richiama” l’educando, provocando la sua libertà.

L’educatore è una persona, sufficientemente completa, non schiacciata dalla sua funzione normativa o protettiva, non è un consulente di vita, un personal trainer, un compagno di giochi, non è una funzione. Essere una persona unita, avere una buona consapevolezza di sé, essere soddisfatti e curiosi, avere vissuto e riuscire a vivere, permette di avere un’ipotesi della propria vita, da donare, accettando che l’altro, nella sua libertà, la valuti: questo è il rischio educativo. Quel rapporto mette a nudo l’educatore, la sua speranza, la sua disponibilità a rischiare in un rapporto. La libertà dell’educatore permette di entrare in dialogo con la libertà dell’educando, anzi ad essa si rivolge, come a dire: “con me ha funzionato, verifica e fammi sapere”.

La libertà dell’educatore si esprime, quindi, nella pazienza, che possiamo definire come la capacità di rimanere in un rapporto senza subirlo. Una distanza dall’altro in quanto tale, rimanendo in relazione. Una libertà dall’esito, che non si possiede; un’attesa dei tempi dell’altrui esperienza.

Conclusioni

Abbiamo illustrato come la libertà è la condizione dell’educazione, il protagonista di questa musicalità. L’educazione, al contempo, è il chiarirsi della libertà nel tempo della costruzione di un Io nella relazione.

La libertà, quindi, non è un ostacolo all’educazione se l’educatore è ultimamente libero da uno schema di sé e dell’altro, pronto all’avventura di quel rapporto.

La psicologia non sostituisce, quindi, uno schema più sofisticato ad un altro, non può definire un modello operativo ottimale, che riduca l’imprevisto della relazione educativa, ma può sostenere la domanda dell’educatore, che è innanzitutto una domanda su di sé, sulla sua identità, sul bene che lo sostiene e che vuole comunicare, una domanda che permette la novità dell’esperienza, sostenendo la speranza dentro ogni circostanza educativa.

NOTE

[1] L’ANALISI TRANSAZIONALE

Si tratta di una tecnica creata dallo psichiatra e psicanalista americano Eric Berne negli anni ’50.

Il suo nome si deve alla constatazione che qualunque scambio tra due o più persone (formata dal messaggio di partenza e dal messaggio-risposta) forma un insieme definito transazione.

Berne parte dall’osservazione che lo stesso individuo può cambiare totalmente comportamento e atteggiamento a seconda delle circostanze e dell’interlocutore, come se diverse persone coesistessero nella stessa persona.

Postula quindi una teoria della personalità secondo cui la nostra personalità è il frutto dell’integrazione di 3 grandi componenti che chiamò STATI DELL’IO, Genitore, Adulto e Bambino e che rappresentò con un diagramma, tre cerchi posti uno sotto l’altro, quello superiore è il Genitore, quello in mezzo l’Adulto e quello inferiore il Bambino.

Queste componenti vengono acquisite fin dalla più tenera età e possono modificarsi ad opera dell’apprendimento e delle esperienze personali. Il Bambino è la sede delle emozioni, dei desideri e dei sentimenti, la nostra parte più antica, la nostra riserva di energia; queste le sue sottocomponenti:

  • il bambino libero (o naturale) – esiste dalla nascita e rappresenta il lato spontaneo della personalità; esprime i suoi bisogni, le emozioni, i desideri e i sentimenti così come li sente; i suoi lati positivi sono l’entusiasmo, il dinamismo e la creatività mentre manca di riguardo nei confronti degli altri, è egoista e impaziente; il suo aspetto relazionale dominante è l’indipendenza e presenta una gestualità vivace;
  • il bambino adattato – è anch’egli sede delle emozioni e dei sentimenti ma ha dovuto sacrificare la sua spontaneità per il desiderio di piacere e di assecondare gli altri; si piega alle regole, obbedisce alle leggi e rispetta le norme per timore di spiacere e disobbedire; presenta quindi un aspetto positivo di educazione, cortesia e di rispetto delle convenzioni, mentre il suo lato negativo lo rende sottomesso, si autocolpevolizza e si giustifica eccessivamente; l’aspetto relazionale dominante è la dipendenza e la gestualità si presenta impoverita e spenta;
  • il bambino ribelle – colui che rifiuta di sottomettersi, resiste all’autorità parentale e contesta in maniera perpetua; le sue ribellioni nascono dal bisogno di vedersi riconosciuto e di farsi notare; l’aspetto relazionale dominante è la contro-dipendenza e la gestualità è scattante e rabbiosa;

Possiamo definire una personalità equilibrata quella dell’individuo

  • che ha a sua disposizione l’intero registro degli stati dell’Io
  • che sa fare la scelta migliore in ogni momento, che attiva lo stato dell’Io più appropriato alla situazione
  • E’ compito dell’Adulto scegliere lo stato dell’Io più appropriato

2 Ainsworth M.D.S., Wittig B.A., Attachment and the exploratory behavior of one-year-olds in a strange situation, in Foss B.M. (Eds.), “Determinants of the infant behaviour”, Methuen, London, 1969

3 Stanley I. Greenspan, “l’intelligenza del cuore”, Mondadori1997

autore: Dott. Francesco Guarnieri
Dirigente psicologo ASP 3 di Catania, Centro Adolescenti