La malattia è un impedimento per il corpo, ma non necessariamente per la volontà.

Epitteto

La diagnosi di una malattia cronica comporta un cambiamento della propria vita: cambiano i tempi, le priorità, le scelte, le proprie abitudini e le aspettative sul futuro.

La malattia diviene totalizzante e le risorse personali vengono messe di lato e spesso dimenticate. Talvolta l’identificazione personale e sociale con la malattia non lascia spazio ad altro, e la persona perde parte della propria identità divenendo semplicemente un diabetico, un malato di cuore, o di cancro, di artrite reumatoide, dolore cronico…. e della persona cosa rimane?

La diagnosi di una malattia cronica è spesso accompagnata da un cambiamento del tono dell’umore, da elevato stress e ansia generalizzata che possono portare ad una non corretta adesione al trattamento.

Il processo di accettazione della malattia non è, infatti, automatico, né per la persona né per la sua famiglia. È simile ad un lutto che la persona ha bisogno di elaborare: si perde propria immagine di “persona sana” dando spazio a quella di persona malata, quasi “un oggetto rotto”.

Ma la persona non è solo malattia, è tanto altro!

Competenze, carismi, forze così come paure e debolezze…tanti altri colori oltre il bianco ed il nero.

Dandosi il permesso di vedere oltre la malattia, la persona riesce a vivere il mondo che c’è oltre. Di fronte alla diagnosi possiamo assumere un atteggiamento da sconfitti, che in Analisi Transazionale, definiremmo da vittime, oppure cercare nuovi significati e costruire dei ponti che ci portino a superare le difficoltà.

E’ a questo punto che entra in gioco la resilienza personale e familiare. Questo termine deriva dal latino “resalio”, iterativo del verbo “salio”, che originalmente indicava l’azione di risalire sulla barca capovolta dalle onde del mare. A seguito della diagnosi di patologia cronica si può continuare a farsi “capovolgere” dalle onde del mare, oppure risalire sulla barca e continuare a viaggiare insieme alle onde.

E’ quando si riprende a guidare la propria vita che si aprono davanti prospettive e risorse che a volte neanche si conoscevano.

Accettare la malattia significa accettare i propri limiti, riuscendo a superare la domanda continua del “perché proprio a me?”. L’accettazione non è passivo adattamento e rassegnazione, ma il riconoscimento della propria realtà e volontà attiva di vivere a pieno la propria vita.

Vivere, non “vivacchiare”. Significa sentirsi “ok” insieme alla malattia: io sono ok con il diabete, con il tumore, con l’artrite reumatoide, la psoriasi, la gamba amputata…. L’ “okness” è espressione dell’accettazione del proprio potenziale.

L’intervento psicologico ha l’obiettivo di favorire l’okness della persona, dando spazio all’espressione dei vissuti emotivi e delle strategie di adattamento legati al proprio stato clinico, alleggerendo e favorendo l’accettazione del fardello che la malattia rappresenta.

autore: Dott.ssa Alessandra Pace
Psicologa, Psicoterapeuta