Riflessioni

UNA CERTEZZA RELATIVA
di Andrea Marconcini

con il contributo delle colleghe del Centro Valdera-Pontedera PerFormat Salute

Cosa ci sta insegnando questa pandemia? Con quali aspetti di noi stessi ci sta mettendo in contatto? Come riusciamo individualmente e come collettività a sostenere questa situazione? Una delle strategie che stanno emergendo come cruciali è quella di educare le nostre menti all’incertezza, aspetto che, per come funziona il nostro cervello, può risultare incredibilmente controintuitivo (Brucciani, 2020).

La nostra mente funziona infatti per schemi, pattern, copioni e quando non li trova, tende a crearli. Questo sanno bene i ricercatori della percezione e gli psicologi della Gestalt, che ci insegnano come le difficoltà personali nascono da “schemi” chiusi troppo presto, cioè da bisogni infantili non soddisfatti e rimasti tali o sublimati in maniera tale da creare solo l’illusione del loro appagamento. Un po’ come quando, per farci tornare un’equazione di matematica, una versione di latino o una lista della spesa, tendiamo ad approssimare e a trascurare quel che ci sfugge: “Più o meno ho preso tutto!”.
Così nell’immagine qui accanto, vedrai un triangolo che in realtà non è disegnato ma estrapolato (organizzato) dalla tua mente. Tutte le nostre abitudini che sono state messe in discussione di fronte all’avanzata della pandemia ci hanno cacciato in un fondale di incertezza nel quale la nostra mente comincia a dare segnali di profonda insoddisfazione. Quando finirà? Quando torneremo alla normalità? Il nostro pensiero ricerca queste risposte non soltanto per una tranquillità in sé, ma anche per cercare di (ri)costruire una realtà prevedibile.

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CON-TATTO o NON-TATTO AI TEMPI DEL CORONAVIRUS
di Elena Gafforio

In questo periodo di minaccia e sospensione a causa del COVID-19 ci è permesso sicuramente di riflettere, osservare, fermarsi. Nel mio caso mi sono data il permesso scrivere… Ho un pensiero ricorrente in questi giorni di reclusione, una riflessione che parte dagli ultimi aggiornamenti professionali fatti, in cui si sottolineava quanto il cervello umano neonatale possa svilupparsi maggiormente in seguito a molteplici stimolazioni date dal contatto corporeo (essere tenuti in braccio, massaggio infantile, uso di marsupio o fasce…) e come tutte queste pratiche siano essenziali per aumentare le connessioni neuronali e generino una maggiore attivazione nei neonati stessi.

Soffermandomi sull’esperimento di Harlow sui macachi e sulla teoria dell’attaccamento di John Bowlby, studi che mostrano l’importanza del contatto corporeo nella costruzione di un legame affettivo, ho riflettuto su quanto siamo “deprivati” in questo momento storico. È vero che in questa epidemia da Coronavirus i nostri bambini non sono deprivati della madre o dei genitori, anzi, la maggior parte è sicuramente più arricchita dalla loro presenza, stando insieme ventiquattrore su ventiquattro, come mai prima d’ora… ma che impatto avrà su di loro la privazione di tutti gli altri legami di attaccamento e di riferimento? Che cosa comporterà vivere in uno spazio vitale così ridotto, quando fino a oggi siamo stati educati alla cultura e alla società gruppale come aspetti fondamentali per il nostro accrescimento?

 

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2020-08-03T10:57:01+02:00

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