Articolo redatto in collaborazione con la Dottoressa Alessandra Pace (Psicologo Psicoterapeuta) e l’Avvocato Barbara Sciacca

La  nostra è una società liquida, una modernità dominata dalla
“convinzione che il cambiamento sia l’unica cosa permanente
e che l’incertezza  l’unica certezza”
(Zygmunt Bauman)

Oggi l’individualismo ha messo in crisi il concetto di comunità.

Ciò conduce inevitabilmente alla perdita della certezza del diritto.

L’unica soluzione possibile per l’individuo senza punti di riferimento sta nell’apparire a tutti costi.

Così  l’apparire diventa valore e il consumismo necessità.

Un consumismo bulimico che mira non solo al possesso di oggetti di desiderio con cui appagarsi, ma, rendendoli obsoleti, conduce il singolo all’eterno consumo privo di scopo.

Eppure c’è sempre qualcosa da cui ripartire.

Oggi l’epidemia ci sta insegnando che nessuno si salva da solo e quanto sia necessario e fondamentale fare comunità.

La nostra Costituzione prevede da una parte la solidarietà sociale e, dall’altra la  giustizia sociale. Il primo principio trova riconoscimento nella nostra Costituzione all’art. 2 , ed, unitamente ai diritti inviolabili della persona rappresenta la base della convivenza sociale, oltre a costituire valore fondante del nostro ordinamento giuridico.  La solidarietà è, infatti, politica, economica e sociale.

L’Altro principio guida è quello di giustizia sociale, concetto di non facile enucleazione che costituisce  principio cardine di uno Stato democratico.

Principio di difficile enucleazione che non può ridursi ad un mero scambio tra lo Stato che interviene risolvendo le difficoltà e la società che, dal canto suo, lo ricompensa del sacrificio sopportato nel sostenerlo.

Essa costituisce, infatti, estrinsecazione del principio di uguaglianza previsto all’art. 3 della nostra Costituzione e rappresenta la realizzazione delle piene libertà dell’individuo e della uguaglianza di tutti i cittadini.

Tali principi hanno favorito la nascita del Welfare State.

In tal modo lo Stato assicura la libertà e, coordinandosi con le diverse formazioni sociali quali la famiglia, la scuola, e le associazioni, le coordina al fine di garantire la piena risoluzione dei problemi.

L’effettività del principio di uguaglianza comporta che gli individui riescano ad emanciparsi dal bisogno. Il bisogno è quello economico, è quello derivante dall’ignoranza, dallo sfruttamento e dalla disoccupazione.

L’art 36 della Costituzione, dal canto suo, ci ricorda che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

Ed oggi, anche a seguito dell’emergenza in atto, tali necessità divengono sempre più pressanti.

Ciò non significa che prima non ci fossero. Forse erano solo sopite.

La lotta alle disuguaglianze, pertanto, costituisce il naturale fondamento di uno Stato democratico.

Sappiamo bene come la disoccupazione e la mancanza di tutele adeguate ed effettive nel lavoro generino disuguaglianze.

Il rapporto di lavoro, è un “contratto” avente natura peculiare. In esso, l’autonomia contrattuale, a causa dell’inferiorità della posizione economica e della debolezza contrattuale del lavoratore, è distribuita in modo disuguale.

In tale contesto il ruolo del sindacato e la funzione delle disposizioni legislative di limitazione dell’autonomia privata e prima ancora la consapevolezza dei singoli, risultano strumento fondamentale per la correzione di tale squilibrio.

Tuttavia, esercitare i diritti in un contesto di precarietà genera precarietà.

Pensiamo alla  lavoratrice madre assunta con contratto a termine che trova difficoltà ad usufruire del diritto ai congedi parentali, ai precari della ricerca, ai lavoratori autonomi, ai parasubordinati, ai lavoratori stagionali, ai recenti problemi dei braccianti agricoli immigrati irregolari.

Pensiamo al “popolo dell’abisso” che oggi, anche a seguito dell’emergenza in atto, scopriamo risultare essenziale.

E’ evidente come La precarietà generi Divisioni orizzontali e verticali che producono diseguaglianza. L’individualismo, infatti, ci ha disgregato e disorientato.

Tale precarietà, inoltre, ha delle ricadute importanti sulla nostra vita.

Oggi assistiamo ad atteggiamenti di rassegnazione diffuse.

Il termine precarietà pone le basi della sua etimologia nel termine latino: “precarius” ovvero “ottenuto con preghiere, concesso per grazia” – da “prex”-“preghiera”.
Questo evidenzia come il termine stesso precarietà ci rimandi ad una posizione di passività, non siamo noi ad ottenerlo, ma “per grazia, tramite la preghiera” ci viene concesso.

Ci viene concesso di lavorare, ci viene concesso di progettare il nostro futuro, ci viene concesso di vivere al di là del lavoro…

Tutto questo pone l’accento su uno stato di impotenza, rassegnazione, umiliazione, poco potere di sé, della propria vita, del proprio futuro.

Ma questa è una prospettiva, una prospettiva depressiva che ci lascia travolgere da quest’onda sociale e culturale, che ci porta dentro ad essere investiti da tante preoccupazioni, paure, senso di impotenza, che non fa altro che farci bloccare, vivere un’impasse.

Certo, possiamo continuare a vivere da “vittime del sistema” arrabbiandoci con i poteri forti, con le aziende, con i colleghi, con i genitori che hanno vissuto tempi migliori rispetto ai nostri, con …chi vogliamo insomma!

È innegabile il fatto che la situazione di precarietà lavorativa che stiamo vivendo, in particolare noi millennial (1981-1996), ha delle ripercussioni nelle nostre vite sociali, relazionali, nelle nostre scelte. È un dato oggettivo e realistico che stiamo vivendo un periodo di forte crisi economica che non facilita un inserimento lavorativo.

Una ricerca australiana edita proprio quest’anno, evidenzia che il precariato danneggia la sfera psicologica e modifica la personalità in particolare nell’ambito della gradevolezza, della coscienziosità e della stabilità emotiva. Con il termine “gradevolezza” si indica la tendenza di una persona ad essere compassionevole e cooperativa verso gli altri, “coscienziosità” definisce la propensione ad agire in modo organizzato e riflessivo, infine la “stabilità emotiva” evidenzia la coerenza dell’emozioni rispetto al proprio ambiente.

Infatti Il senso di precarietà, pur emergendo in ambito lavorativo, pervade ben presto la sfera personale e familiare degli individui, tanto che si può parlare di “precarietà di vita” (Gallino, 2007; Callea, 2010).

Essa rappresenta una sindrome che interessa i lavoratori atipici, poiché, percependo la propria condizione come temporanea e instabile, possono avere difficoltà a progettare la propria vita con conseguenze emotive che influenzano negativamente l’agire quotidiano (Callea, 2011).

Tali realtà potrebbero evolversi in stati di ansia caratterizzata da tensione, apprensione e preoccupazione per l’incertezza del futuro, e depressione, rispetto agli atteggiamenti negativi verso il passato e il futuro e all’incapacità di reagire adeguatamente alle problematiche che si presentano.

Ma non tutti i lavoratori atipici presentano un’evoluzione di questo tipo, molto dipende dagli aspetti di resilienza e di coping. Questi elementi rappresentano le modalità con cui ci adattiamo agli eventi funzionali e disfunzionali.

Infatti, non possiamo cambiare la realtà esterna ma possiamo cambiare la nostra interna, ed il modo in cui ci rapportiamo a tale situazione.

C’è una simpatica vignetta di Cavez, (Massimo Cavezzalli) con al centro il suo personaggio ricorrente con il nasone e gli occhi grandi e spalancati, che nasconde quasi del tutto la fronte che dice:

“La realtà mi è ostile. Non si vuole adattare a come sono io!”

 

Ecco, finché continueremo ad avere questo atteggiamento rimarremo bloccati e schiavi di questi eventi esterni, continuando a fargli la guerra o sentendoci vittime sconfitte del sistema.

E’ la possibilità di sentirsi protagonisti e scrittori della propria vita, che cambia il modo di vedere le cose. Siamo noi a costruire la nostra vita, e a decidere quanta forza dare agli eventi esterni: passando da una prospettiva passiva ad una prospettiva re-attiva diamo un valore diverso alle nostre esistenze.

In questi giorni di diffusione della pandemia Covid-19 ci siamo confrontati con la precarietà delle nostre vite, in cui tutto può cambiare da un giorno all’altro: dalla perdita dei nostri cari, a quella del nostro lavoro, degli affetti, della vicinanza.

Vogliamo continuare a rimanere bloccati o vogliamo essere promotori di un cambiamento che può essere culturale ma è prima individuale.

È difficile, anzi difficilissimo, ma finché rimandiamo, tutto continuerà a ruotare e a continuare ad essere sempre lo stesso.

Buon inizio, non domani, ma oggi!

autori: Barbara Sciacca, Alessandra Pace